Gaza, quanti responsabili dietro quel blitz contro le navi
Gaza, quanti responsabili dietro quel blitz contro le navi
La cuerda floja estratégica de la campaña de Hezbolá contra Israel
La cuerda floja estratégica de la campaña de Hezbolá contra Israel
Op-Ed / Middle East & North Africa 1 minutes

Gaza, quanti responsabili dietro quel blitz contro le navi

È facile condannare Israele per il blitz contro le navi umanitarie della "Freedom Flotilla" definendolo non necessario, insensato e sproporzionato. Più difficile, ma allo stesso tempo necessario, è capire come questo incidente metta in discussione una politica molto più ampia nei confronti di Gaza, della quale la comunità internazionale è responsabile.
 
Per anni, molti paesi sono stati complici di una linea politica quasi altrettanto sbagliata del blitz di lunedì, che è consistita nel tentativo di isolare Gaza nella speranza di indebolire Hamas. Lo spettacolare fallimento di questa strategia è uguagliato solo dalla tenacia con la quale molti continuano ad appoggiarla.
 
Nello Stretto di Gaza il tasso di disoccupazione e la povertà sono alle stelle, mancano medicinali, combustibile, elettricità, cibo, e altri beni di prima necessità. Anche se Israele ha preoccupazioni legittime riguardo alla propria sicurezza nei confronti di Hamas, che ha deviato materiale importato ad uso militare, niente giustifica un blocco che equivale a poco meno di una punizione collettiva imposta alla popolazione di Gaza, e che probabilmente serve solo a radicalizzarla ulteriormente.

Molti paesi del mondo, che hanno giustamente condannato il blitz, giocano un ruolo nel deplorevole trattamento di Gaza, sfondo degli eventi di lunedì scorso. La strategia di isolare Gaza, nel tentativo di mettere la popolazione contro Hamas, ed appoggiare un approccio che desse la priorità alla Cisgiordania, non è stata esclusivamente israeliana. Focalizzarsi solamente sulla recente tragedia significa tralasciare lezioni politiche più ampie e più importanti.
 
Imboccare la via umanitaria sarebbe un passo importante, ma non una risposta sufficiente a una strategia la cui premessa fondamentale è insensibile e politicamente controproducente. La sfida, alla base, non è umanitaria: è, ed è sempre stata, politica, quindi bisognerà prendere decisioni politiche su come gestire Gaza, Hamas e la possibilità di un nuovo governo palestinese. Il tentativo di indebolire Hamas, che vinse le elezioni nel 2006, chiaramente non ha funzionato. In più, farlo a spese della popolazione civile è sbagliato. La politica internazionale nei confronti di Gaza ha bisogno di essere riesaminata con attenzione.

L'obiettivo dovrebbe essere quello di ristabilire un traffico normale a Gaza e allo stesso tempo mettere fine al contrabbando illegale di armi e all'uso illecito di beni, tramite un controllo dell'utilizzazione finale di quest'ultimi da parte di un organismo indipendente composto da membri internazionali. Soprattutto, è tempo di promuovere una politica che coinvolga Hamas invece di ignorarla. Questa settimana abbiamo assistito al triste risultato di un approccio politico pericoloso e fallimentare, non solo da parte di Israele ma anche di tanti altri governi. Se qualcosa di positivo verrà fuori da questa crisi, si può sperare che ne risulterà un'opportunità per l'aggiustamento di rotta che aspettavamo da tanto.

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