Op-Ed 15 Luglio 2009 6 minutes Ue: la Turchia ed i rischi di una 'partnership privilegiata' Share Facebook Twitter E-mail Linkedin Whatsapp Salva Stampa Dopo le ultime elezioni nei paesi europei cresce il fronte dei contrari all'ingresso della Turchia. L'idea della Partnership privilegiata. Ma cosa significa. La partecipazione di Ankara alla Nato e alle altre istituzioni europee. L’affermazione delle destre nelle elezioni europee dello scorso mese è stata molto netta, ed una delle idee vincenti è stata quella di proporre una marcia indietro sull'ingresso della Turchia nell’Unione Europea, da sostituire con una “partnership privilegiata”. Tale concetto però non ha ancora trovato, nei suoi sostenitori, siano essi francesi, tedeschi o di altri paesi, chi potesse chiarire di che linea politica in realtà si tratti, anche se da essa dipenderebbero la credibilità, l’onestà intellettuale e gli interessi di lungo periodo dell’Europa. Tra i primi sostenitori di tale “partnership privilegiata” figura il partito dell’Unione Cristiano-Democratica della cancelliera tedesca Angela Merkel, che nel 2004 iniziava a preoccuparsi di far collimare da un lato le preoccupazioni dell’opinione pubblica tedesca, dall’altro le aspettative turche. Nonostante poi la simpatia dimostrata verso tale idea del presidente francese Nicolas Sarkozy, del presidente uscente dell’Europarlamento Hans-Gert Poettering ed di altri conservatori europei, non vi è stato ancora lo sforzo intellettuale necessario a definire tale concetto. Peraltro, né il governo tedesco né quello francese hanno ancora pubblicato nulla che possa servire a spiegare come questa “partnership privilegiata” possa eventualmente rimpiazzare il corrente status di paese candidato all’adesione. Non meraviglia, allora, che il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steimeier abbia dichiarato ai giornalisti, la scorsa settimana: “Non so cosa sia questa partnership privilegiata”. Infatti, l’unico studio rintracciabile su questa nuova idea risale al 2004. Scritto da Karl-Theodor zu Guttenberg, l’attuale ministro dell’economia tedesco, tale studio è un documento di 33 pagine che conferma una vecchia battuta sul mercato unico che circolava tra i Turchi euroscettici: “Tra di loro, si costruiscono l’Unione. A noi, ci invitano solamente al loro mercato”. Un po’ come dire che gli stati europei vogliono la botte piena e la moglie ubriaca. L’idea di zu Guttenberg sarebbe quella di estendere l’unione doganale tra Turchia ed Ue ad altre aree vantaggiose per l’Unione – agricoltura e servizi – accordando alla Turchia solo lo status di osservatore all’interno delle istituzioni europee. Si utilizzerebbero dunque meccanismi consultivi estremamente somiglianti a quelli di fatto già presenti nel Consiglio di associazione. Inoltre, la Turchia sarebbe integrata nei meccanismi di difesa, sicurezza e politica estera comunitari, a fronte di un'eventuale appartenenza piena ai competenti organi decisionali. Questo prefigurerebbe un arricchimento dello status quo attuale, ma non di molto: la Turchia partecipa alla difesa dell’Unione Europea da 57 anni a questa parte in quanto membro della Nato. Zu Guttenberg ribadisce anche che prima che ciò accada, però, l’Ue dovrebbe esprimere una politica definitiva e vincolante sul Medio Oriente e sul “significato strategico che la Turchia ha per l’Ue”. Infine, non figurano nella proposta l’entrata nell’unione monetaria e l’estensione dei confini europei, così come sono poi trascurati gli argomenti di natura storica e ideale a fondamento della Turchia nell’Unione Europea. Le altre proposte emerse su questa idea politica sono ancora più generiche. I membri del parlamento del gruppo dei Popolari Europei hanno proposto, nel 2005, un piano di otto punti che suggeriva l’integrazione della Turchia nelle politiche commerciali comunitarie, completa cooperazione giudiziaria, controllo dell’immigrazione, cooperazione in merito alle politiche marittime, nell’aiuto allo sviluppo, nella politiche estera e di difesa comuni e la risoluzione pacifica all’annosa vicenda di Cipro ed in merito a progetti culturali ed educativi. In poche parole, l’Ue se ne infischiava ancora una volta dei problemi turchi di sovranità nazionale e poneva i propri interessi al là di tutto, chiedendo inoltre che venissero riconosciuti il genocidio armeno, la cessione del controllo su parte dello Stretto del Bosforo e la partecipazione ai controlli delle frontiere esterne turche. In breve, questa “partnership privilegiata” non offrirebbe grandi privilegi alla Turchia, paese che, è bene ricordarlo, è già membro di quasi tutte le organizzazioni pan-europee dal Consiglio d’Europa finanche ai tornei calcistici, ed in molti sensi più vicina all’Ue di ogni altro stato non-membro. E non offrirebbe neanche una nuova vera partnership, nel momento in cui il principale fine di questa proposta sembra essere controllare la Turchia o piuttosto escluderla dai meccanismi decisionali che la farebbero diventare un vero partner. L’Ue conclude già felicemente con paesi terzi accordi di libero commercio che dovrebbero indurli ad aprire i loro mercati alla Turchia. Questi paesi partono però già riluttanti rispetto ad una mossa che i trattati, peraltro, non rendono obbligatoria. Ci sarebbero poi dei lati più marcatamente svantaggiosi, nell’idea di “partnership privilegiata”. Gli Stati europei hanno formalmente concordato con la Turchia uno status che comporterà un suo accesso completo nell’Ue, qualora riuscisse a soddisfare tutta una serie di criteri richiesti. Rovesciare tale accordo per fronteggiare degli equilibri politici di stampo chiaramente interno all’Unione sarebbe come dire che dell’Ue non ci si può fidare. Inoltre, non sarebbe una mossa corretta nei confronti di tale paese. Politici e commentatori presentano i negoziati di accesso come se la Turchia fosse un paese estremamente povero e sovrappopolato, e la sua entrata in Europa dovesse avvenire domani. In realtà, l’intero processo durerà dieci o vent’anni, e per allora il peso relativo di una Turchia in rapida crescita e di un’Europa che tende alla stagnazione sarà molto cambiato. La paura di un’onda di migranti turchi è di gran lunga esagerata – la libera circolazione dei lavoratori turchi non avrebbe luogo se non dopo molti anni ancora, e se mai dovesse essere stipulata. E comunque, l’ingresso della Turchia rimane potenzialmente oggetto di veto da parte di qualunque Stato membro. Invece, i negoziati per l’accesso della Turchia all’Unione Europea sono positivi sia per i turchi che per gli europei, come partner economici ed alleati di lungo corso (come illustrato da un report dell’International Crisis Group del 2007, Turkey and Europe: the Way Ahead). Infatti, le ampie riforme compiute dalla Turchia tra il 2000 ed il 2005 hanno mostrato che una genuina cooperazione in vista dell’entrata nell’UE comporta benefici in ognuna delle aree che entrambe le parti hanno interesse a migliorare: diritti umani, questione curda, la risoluzione del problema di Cipro, limitare il ruolo dell’esercito turco e ad aiutare la Turchia a diventare un attore capace di espandere la stabilità nei territori al suo est. Senza parlare poi del fatto che l’economia turca è cresciuta del 7% tra il 2002 ed il 2007, e gli investimenti stranieri sono cresciuti di dieci volte, in gran parte grazie ad investimenti europei. Come testimoniato dal fallimento nel completare le riforme dal 2005 ad oggi, l’obiettivo di una completa membership europea è un elemento di spinta essenziale in tale processo di trasformazione. I rinnovamenti legislativi, il miglioramento degli standard alimentari e l’abbassamento delle emissioni sono elementi importanti, ma anche processi costosi e politicamente significativi, che ogni governo deve riuscire a giustificare davanti al proprio elettorato. L’obiettivo dell’adesione rimane sostenuto da metà della popolazione turca, nella speranza che possa accelerare il progresso del paese verso una maggiore prosperità, una minore corruzione, e che riesca ad ancorare la Turchia ad un processo di modernizzazione ed europeizzazione che va avanti da due secoli. Ovviamente, i problemi nei rapporti Eu-Turchia non dipendono interamente dall’Ue. La Turchia dovrebbe fare molto di più nel recepire le norme Ue più velocemente, e i suoi leader dovrebbero fare di più per ricordare al popolo turco quanto della propria prosperità e del prestigio regionale è dovuto alla convergenza verso l’Europa. Rimane innegabile però che la repubblica Turca, nata nel 1923, si fonda su modelli europei, ed essendo l’Ue di gran lunga il potere dominante tra i due, dovrebbe essa stessa assumersi la responsabilità di cercare di plasmare i propri vicini “a propria immagine”. In tali circostanze, i discorsi su questa “partnership privilegiata” sembrano dunque sempre più essere solo il capro espiatorio dei timori europei riguardo il lavoro, l’immigrazione, l’Islam. Dare la colpa ai negoziati di adesione tra Ue e Turchia non significa solamente creare problemi nel rapporto tra questi due attori, con tutte le opportunità mancate che questo implicherebbe per una futura cooperazione tra Ue, Nato, politica di cooperazione e sicurezza energetica e l’intero mondo islamico. Significa anche ritardare un'onesta riflessione sulle vere cause delle paure che aleggiano negli stati europei. Related Tags More for you