L'Iraq dopo Mosul: unità cercasi ma è rischio frammentazione
L'Iraq dopo Mosul: unità cercasi ma è rischio frammentazione
Reconciling Iraq's Hard Realities
Reconciling Iraq's Hard Realities
Op-Ed / Middle East & North Africa 6 minutes

L'Iraq dopo Mosul: unità cercasi ma è rischio frammentazione

Una nuova pagina della storia contemporanea dell’Iraq si apre con l’annuncio della liberazione di Mosul, ultima roccaforte dello Stato islamico (IS) nel paese. Tuttavia, ciò che rende questo momento un punto di svolta non è tanto la vittoria militare della coalizione, quanto il fatto che esso rappresenta la fine di un capitolo di storia istituzionale durato circa un decennio: quello dell’Iraq post-invasione americana. Molti dei temi affrontati in questo dossier dedicato alla liberazione di Mosul riguardano aspetti particolari di tale trasformazione, nel tentativo di indagare il tortuoso percorso della ricostruzione, la frammentazione delle forze di sicurezza e della politica interna a Baghdad, così come gli sforzi per mantenere unito l’Iraq nonostante le divisioni interne e le pressioni dei paesi limitrofi. Il filo conduttore del dossier è stato il tentativo di descrivere il profondo cambiamento delle strutture di potere in Iraq, lo sgretolarsi di quell’ordine politico costituitosi dopo l’invasione degli Stati Uniti nel 2003 e il passaggio, lento ma già percepibile, verso un nuovo ordine politico che ha preso forma negli anni della battaglia contro IS.

Quali sono dunque le chiavi dell’Iraq dopo Mosul? Trasformazioni profonde sono avvenute almeno su tre livelli. Il primo – e fondamentale – è costituito dalla crisi della politica irachena, che si manifesta nella difficile coesistenza tra una classe politica ormai in declino, arrivata al potere dopo la caduta del regime di Saddam Hussein, e le nuove figure emergenti dal conflitto contro IS. Un secondo aspetto è rappresentato dall’affermarsi di reti di potere informale, che si affiancano alle istituzioni dello stato, talvolta sostituendole. Infine, si va delineando una nuova relazione tra stato centrale e territorio e nuove modalità con cui il nucleo del potere centrale descritto sopra – vecchie e nuove figure politiche, reti informali e reti istituzionali – tenta di affermare il suo controllo sul territorio. In altre parole, si tratterà di identificare gli attori e le modalità attraverso le quali il potere verrà effettivamente esercitato in Iraq dopo la ripresa di Mosul. 

Il successo militare di IS, spesso descritto come un fenomeno improvviso, è invece il risultato di un processo, durato almeno un decennio, di svuotamento delle strutture statuali irachene. Dal 2003 in poi, il principio di rappresentanza su base religiosa o etnica, così come quello della decentralizzazione del potere, è servito solo a legittimare la costruzione di una rete clientelare che non è riuscita né a consolidarsi come stato patrimoniale né a porre le fondamenta di uno stato anche solo minimamente funzionante. La gestione della spesa ministeriale e dell’impiego pubblico ha permesso ai vari ministri di accumulare risorse economiche e sostegno politico, consolidando una rete clientelare che ha consentito loro di essere rieletti per più legislature. Ciò che permetteva alla stato centrale di esercitare la sua sovranità non erano le istituzioni pubbliche attraverso le loro articolazioni periferiche, ma le reti clientelari legate alle diverse personalità politiche che da Baghdad dispiegavano la loro influenza su tutto il territorio.

Per circa un decennio il potere si è dipanato attraverso queste reti. Infiltratesi come una metastasi all’interno dell’intera macchina dello stato iracheno, esse ne hanno innervato le istituzioni, sfruttando la loro legittimità e profittando delle risorse pubbliche fino a svuotarle progressivamente delle loro funzioni fondamentali, in primo luogo quella di garantire la sicurezza e la difesa delle frontiere.  Il settore della sicurezza costituisce un esempio particolarmente efficace di questa dinamica di “svuotamento dello stato”: infatti, nonostante sussistessero formalmente sia la polizia sia l’esercito, la loro reale funzione era quella di sostenere la rete clientelare di militari legati all’allora primo ministro Nouri al-Maliki. 

Lo “Stato islamico”, come definito dai militanti jihadisti, sorge inoltre dal fallimento del progetto americano: la promozione del modello democratico e dei suoi meccanismi operativi è paradossalmente servita solo a indebolire la precedente struttura funzionale dello stato iracheno portandolo sino all’orlo del completo fallimento, simbolicamente culminato con la presa di Mosul.

La battaglia contro IS è servita da incubatore della trasformazione dal vecchio al nuovo ordine, attualmente in corso. Quelle reti informali che, come abbiamo visto, in molti casi erano precedentemente attive all’interno dello stato stesso, si dispiegano adesso al di fuori di esso. Un caso esemplare è quello dell’Hashd al-Shaabi, le Unità di mobilitazione popolare (Pmu), un corpo di forze miliziane prevalentemente sciite che, reclutando migliaia di volontari dopo la caduta di Mosul, ha in parte sostuito l’esercito tradizionale nella lotta a IS, beneficiando anche del sostegno dell’Iran. Proprio perché nate al di fuori di un quadro istituzionale ormai in declino, le Pmu sono riuscite a captare il sostegno popolare soprattutto tra i giovani iracheni, svolgendo anche un ruolo di ascensore sociale ed economico per coloro che prima restavano ai margini della classe politica. 

La partecipazione alla lotta contro IS ha fornito a queste figure un’opportunità unica e senza precedenti di acquisire una popolarità di gran lunga superiore a quella dei politici al potere; gli ha anche permesso di accedere a risorse istituzionali che precedentemente rimanevano sotto lo stretto controllo degli esponenti politici  (le Pmu ricevono gran parte dei salari mensili dalle casse dello Stato) e di coltivare relazioni personali con potenze regionali (come l’Iran) al di fuori del quadro istituzionale. Comandanti miliziani, grazie alle reti di relazioni coltivate durante la battaglia contro IS, hanno avuto accesso a finanziamenti privati, dando vita a imprese private e organizzazioni non-governative di assistenza, attraverso le quali riescono a gestire e influenzare la popolazione a livello locale, in parte sostituendosi alle istituzioni.

La classe politica tradizionale si trova relegata a Baghdad, con una diminuita capacità di mobilitare il sostegno popolare attraverso le istituzioni tradizionali dello stato e sempre più costretta a stabilire legami sia politici sia economici con la rete di potere informale extraistituzionale per mantenere attive le proprie reti clientelari. Figure preminenti del vecchio ordine istituzionale fungono da mediatori tra le reti di potere informale e le istituzioni di stato: questo è, per esempio, il caso di Faleh al-Fayyadh, che ha mantenuto il suo ruolo di consigliere per la Sicurezza nazionale, ma al contempo è incaricato di dispensare gli stipendi per le Pmu. Nouri al-Maliki, primo ministro dell’Iraq dal 2006 per ben otto anni consecutivi, dal 2014 ha riinvestito completamente nelle strutture informali delle Pmu. 

Da sottolineare anche il cambiamento nelle relazioni civili-militari. Gli anni del post-invasione americana sono caratterizzati da una netta distinzione tra classe politica – che deteneva le cariche più alte dello Stato e il comando delle forze di sicurezza – e ufficiali dell’esercito, le cui funzioni erano strettamente limitate all’ambito militare. La battaglia armata contro IS rimette in questione la netta distinzione tra sfera civile e militare, promuovendo come nuovi protagonisti della scena politica irachena figure che hanno ricevuto una formazione militare o militari (come quelli delle celebri forze speciali del contro-terrorismo) che, in futuro, potrebbero nutrire aspirazioni politiche. Queste nuove figure godono di una popolarità incomparabile rispetto ai politici di Baghdad, hanno accesso a tutto il territorio nazionale, dispongono di forze armate e intelligence e potrebbero acquisire ruoli importanti, non necessariamente spingendosi al comando del paese ma sostenendo una fazione politica piuttosto che un’altra. ­­­­­­­­­­­

La transizione da vecchio a nuovo assetto non riguarda soltanto gli attori e i luoghi del potere,ma anche le modalità attraverso le quali questo si esercita nel controllo del territorio. La guerra a IS e il pericolo (reale o percepito) dell’incombente avanzata dei militanti hanno ridotto la mobilità all’interno del paese e isolato i centri urbani iracheni gli uni dagli altri dispiegando forze di sicurezza alle frontiere di città e villaggi. Qui, la rete amministrativa statale, già in declino, ha potuto continuare a funzionare soltanto attraverso l’intermediario delle forze di sicurezza – principalmente le Pmu e le forze speciali irachene del contro-terrorismo – che regolano l’accesso a strade e centri abitati. In questo nuovo contesto, la lotta per il potere non si gioca più sul controllo delle istituzioni dello stato centrale o sul dispiegamento delle forze di sicurezza nei centri urbani e nell’insieme del territorio nazionale, com’era pratica diffusa nel decennio che ha seguito l’invasione americana, ma è piuttosto il controllo del sistema viario e delle infrastrutture (soprattutto autostrade e aeroporti) la premessa per arrivare a controllare le istituzioni del governo locale. Le forze militari o miliziane che gestiscono l’accesso ai centri abitati sono nella posizione di prevaricare sia l’amministrazione civile che le forze di polizia locale, facilitando o negando il ritorno ai rifugiati, l’accesso e la mobilità ai residenti e persino a agli organismi internazionali impegnati nella ricostruzione del post-IS. In un contesto di sgretolamento della maglia istituzionale, il controllo strategico delle vie d’accesso è diventata la vera premessa di ogni esercizio di sovranità su porzioni di territorio. 

Per la classe politica che intende mantenersi al potere, non solo è necessario cercare un riposizionamento tra strutture del vecchio e del nuovo ordine, ma anche e soprattutto stabilire legami con le forze di sicurezza che controllano le infrastrutture del paese. Ci si può dunque attendere che il processo di trasformazione verso un nuovo ordine politico avvenga attraverso fasi intermedie che vedranno figure della vecchia classe politica legarsi a politici, militari e miliziani che dispiegano la loro azione muovendosi sul labile confine tra istituzioni burocratiche e reti informali. Anche lo stato iracheno potrebbe di conseguenza assumere una forma ibrida: pur mantendosi formalmente nelle sue frontiere, è probabile che vada incontro a una interna frammentazione in una serie di “feudalità”, corrispondenti ad altrettante zone di controllo del territorio da parte dei nuovi poteri emergenti.

Subscribe to Crisis Group’s Email Updates

Receive the best source of conflict analysis right in your inbox.